Archive for marzo 2008

Piccola nota circa il “pacifismo” di Abraham Yehoshua

marzo 3, 2008

che si vanta ancora oggi di esser stato lui a convincere Sharon a costruire il muro dell’apartheid.

«Quando dissi che volendo definire il sionismo con una sola parola avrei scelto il termine “confini”, che indicava una situazione diametralmente opposta a quella degli ebrei nella diaspora, mi resi conto che qualcosa era scattato in lui. Illustrai infine la necessità di costruire una barriera di separazione tra Israele e la futura Palestina, e Sharon si mise a calcolarne la lunghezza e a lamentarsi degli alti costi». Lo ha scritto lo scrittore “pacifista” Avraham B. Yehoshua in un intervento pubblicato su «La Stampa», raccontando il suo incontro con il primo ministro israeliano Ariel Sharon. «Agli inizi del 2003 pubblicai un lungo e dettagliato articolo – spiega Yehoshua- intitolato “La necessità di un confine” in cui sostenevo la necessità di costruire una reale barriera divisoria tra Israele e territori palestinesi ed esponevo un programma concreto di separazione parziale tra i due popoli». «Tale programma – prosegue Yehoshua – contrastava con la posizione ufficiale della sinistra, mirante a un accordo di pace comprensivo basato sugli accordi di Ginevra, di cui peraltro ero tra i firmatari ma che consideravo più un’aspirazione futura che un progetto realizzabile. Naturalmente gli esponenti della destra videro in questa mia proposta una formula sicura per una futura disfatta e un umiliante ritiro».

«L’articolo sucitò vasta eco – racconta Yehoshua – ma non fu preso troppo sul serio dai circoli politici. Una mia cara amica, figlia di uno dei più radicali leader del Likud ormai scomparso, caro amico di Sharon e suo stretto collaboratore nella creazione di colonie, divenuta ormai un attivista di sinistra dopo aver rinnegato le opinioni del padre, insistette che mi incontrassi col primo ministro per illustrargli i punti del mio programma». «Non credevo – sottolinea Yehoshua – che le parole di uno strenuo oppositore politico potessero avere qualche effetto su Sharon ma – prosegue – dopo molti tentennamenti proposi al mio amico Lova Eliav di unirsi a me nell’incontro e nel momento in cui lui accettò, decisi di procedere». Yehoshua scrive che alcuni mesi dopo il suo incontro con Sharon, il premier «annunciò il piano di ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza. Il presidente del consiglio regionale – prosegue lo scrittore – ci riferì che le nostre parole avevano lasciato un segno profondo su Sharon e lo avevano aiutato nella sua decisione». «Se dovessi scoprire che la cosa è vera – conclude Yehoshua – sono senz’altro disposto a fare un salto a casa di Sharon e a cercare di convincerlo a proseguire nel processo di pace».

Ebrei contro la fiera del libro di Torino

marzo 3, 2008
Il 24 gennaio, con il segretario di European Jews for a Just Peace, ho presentato all’Oms, a Ginevra, la nostra lettera contro l’assedio di Gaza. Li abbiamo ringraziati per aver condannato il taglio dell’elettricità agli ospedali, sollecitandoli a trattare anche della mancanza di acqua potabile e dello sfascio delle fognature. Poiché sono medico, ho suggerito di denunciare anche la carenza di cibo e l’impossibilità di scaldare le case (mentre Israele minaccia di far mancare, fra poco, anche il gas da cucina): anche questo nuoce alla salute. L’alto funzionario ha commentato che le loro dichiarazioni sono sempre esito di faticose mediazioni: Israele fa parte dei comitati. Tornando a casa, mi sono sentita scema: ero andata a Ginevra per dire all’Oms che la fame è nociva!
Alla riunione con gli organizzatori della Fiera del Libro, il consigliere regionale Chieppa del Pdci, il Comitato di solidarietà con il popolo palestinese di Torino ed io avevamo chiesto di porre gli scritti palestinesi sullo stesso piano di quelli israeliani. La risposta è stata un No secco.
Al governo israeliano, la Fiera serve da autocelebrazione, per far dimenticare le atrocità compiute. Parteciparvi, anche con spirito «critico», vuol dire stare al gioco. Non basta far credere al mondo intero che Yehoshua (che vuole il muro), Oz e Grossman siano pacifisti: ad Israele, gli oppositori servono per dimostrare la propria «democraticità». Non si finisce in carcere perché si è di B’Tselem. Halper può manifestare per i palestinesi: lui, non lo arrestano. Chi è arrestato, torturato e ucciso senza processo, sono gli abitanti dei Territori Occupati, coloni esclusi: sono quelli della «razza» e della religione «sbagliata». Ma, poiché questi non hanno la cittadinanza, Israele si proclama «democratico». Lo è persino con i cittadini non ebrei. Sempre che non mettano in causa l’ebraicità dello stato: in tal caso, se sono importanti, rischiano di finire come Bishara, accusato – con una scusa – di tradimento, onde il suo partito, il Balad, finisse allo sbando (come puntualmente è avvenuto); o, se non lo sono, come i palestinesi cittadini israeliani, uccisi dalla polizia all’inizio dell’Intifada. Per queste uccisioni, Israele ha deciso che nessun poliziotto sarà processato.
Lo sterminio degli ebrei è un crimine incomparabilmente più grave della nakba. Ma Israele ne usa il ricordo, non per rifiutare alleanze con fascisti e simili (che dire dell’alleanza con il regime di Videla? del viaggio di Fini? dell’amicizia di Berlusconi, al governo con una Lega razzista?), ma per cacciare i palestinesi. A compiere lo sterminio furono tedeschi (e polacchi, italiani, etc.): non palestinesi. Responsabili della nakba, invece, furono coloro che vollero uno stato a maggioranza ebraica, e chi li sostenne (Stalin compreso). I palestinesi funsero da capro espiatorio, come dalle prescrizioni del Levitico: quello su cui scaricare i peccati, prima di mandarlo a morire nel deserto. Peccati, notare, non compiuti affatto dal capro (Lv 16, 10.21s.).
La levata di scudi contro il boicottaggio della Fiera suona male: si prese una posizione analoga nel 2006, quando Israele, con gli Usa e l’Unione Europea (anche l’Italia, cioè) boicottarono i palestinesi, per il voto a Hamas? Allora, nei Territori Occupati, chiusero scuole ed ospedali: i dipendenti non erano pagati. Durante la prima Intifada, Israele aveva chiuso – per anni – scuole e università palestinesi. Il rettore dell’università di Al-Quds, Nusseibeh, è in ottimi rapporti con Israele: ha firmato un’iniziativa di pace con Ayalon, ex capo dei servizi segreti. Ciononostante, dentro l’università c’è il muro; per entrare e uscire, gli studenti devono passare un posto di blocco. Stante il muro e i checkpoint, occorrono ore per raggiungere, da Betlemme, l’università di Al-Quds; e sono pochi chilometri. Questi, va da sé, non rientrano fra i boicottaggi culturali: il mondo – diversamente da Parlato – non considera i palestinesi i nuovi ebrei. I dirigenti della Fiera hanno tenuto a dirci che questa è fortemente sostenuta dalle autorità istituzionali del Piemonte, sindaco di Torino incluso.
Un paio di anni fa, il Comune di Torino aveva fatto sì che diverse organizzazioni scrivessero un testo per insegnanti («Israele/Palestina. Palestina/Israele». Sussidio Informativo, edito dalla Città di Torino e dal Coordinamento di Comuni per la Pace). Del libretto, dichiaratamente per la non violenza, avevo preparato il capitolo sui movimenti pacifisti israeliani. Quando lo presentammo, nel settembre 2006, il presidente della comunità ebraica insorse. Ad un incontro successivo, invece, non sono stata invitata. Mi dicono che è andato dal sindaco l’ambasciatore israeliano, per spiegargli l’«inopportunità» del testo, perché «non equidistante». Risultato: il librino è sparito. Nemmeno chi ha scritto il libro sa se il Comune l’ha mandato al macero, o se ne ha sepolto le copie in un ripostiglio, scelto fra quelli più abitato dai topi.
Per molti, non si può chiedere ad un evento letterario, come la Fiera, di essere «equilibrata». Ma se un testo non piace all’ambasciatore israeliano, basta l’accusa di mancato equilibrio perché il Comune si faccia piccolo piccolo, chieda scusa, e nasconda il libro.
È chiaro che in questo caso non si parla di «censura», di «inutilità» di un boicottaggio antidemocratico. Non s’ha da boicottare Israele: chi lo fa rischia di essere definito «antisemita», magari «nazista». Far scomparire un testo, e (più grave) impedire ai palestinesi di andare a scuola, non è boicottaggio culturale. È normale «democrazia» israeliana (esportata, almeno in un caso, anche qui da noi). E, per Parlato, gli ebrei israeliani sono diversi dai sudafricani bianchi. È vero. Sono peggiori: in Sudafrica lo scopo era di sfruttare i neri, non di espellerli.
Ebrei contro l’occupazione

Israele – Palestina – 12.2.2008 11:20:00 Nuovi insediamenti israeliani a Gerusalemme est

marzo 3, 2008

Più di mille nuove costruzioni nei dintorni della zona araba di Gerusalemme Est sono state annunciate dal ministro israeliano per gli insediamenti Zeev Boim, specificando che 750 unità abitative saranno costruite nell’area nord di Pisgat Zeev, mentre 307 unità nella zona sud di Har Homa. Secondo quanto ha ufficialmente dichiarato il ministro, i progetti di costruzione sono frutto di una lunga pianificazione, aggiungendo ai microfoni di Radio Israele che le costruzioni a Gerusalemme stanno continuando entro i confini della municipalità. Lo scorso anno, gli Usa erano stati protagonisti di un tentativo di pacificazione tra Palestina e Israele, risoltisi in un nulla di fatto in seguito all’annuncio da parte del governo israeliano del proseguimento delle attività di costruzione. Il premier israeliano Olmert ha comunque dovuto decretare lo stop di nuovi insediamenti ebraici della Cisgiordania, sotto pressione statunitense, ma non ha non ha definito piani di costruzione all’interno dei confini di Gerusalemme. Secondo i palestinesi, i nuovi insediamenti sono da considerarsi come una mossa preventiva del governo di Israele per scongiurare la possibilità che Gerusalemme est diventi la nuova capitale dei palestinesi, come vorrebbero questi ultimi.

da peacereporter.net

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Mohammed Bakri, l’effetto censura

marzo 3, 2008

“Il Manifesto” 31-01-08

In 30 città italiane il film boicottato da Tel Aviv sui massacri della primavera 2002. Incontri e dibattiti con il regista e attore israelo-palestinese che ci racconta il dramma dei territori. Il suo nuovo lavoro, «Layla’s Birthday», è una satira sui politici di entrambi i fronti Non posso dimenticare che stanno impedendo di esprimermi. Loro boicottano me e io boicotto loro!
Chiara Organtini
Roma
Strano che questa vicenda censoria, non ancora conclusa, abbia occupato finora così poco spazio sui media occidentali. Torniamo dunque a parlare del «caso Bakri», proprio a qualche ora di distanza dalla giornata della memoria, di cui si sta celebrando ancora il ricordo con proiezioni e dibattiti in giro per l’Italia, e nel mezzo delle polemiche e delle richieste di boicottaggio legate alla Fiera del libro di Torino, che accoglierà Israele come ospite d’onore. Stiamo parlando del cineasta Mohammed Bakri, il regista e attore arabo-israeliano di Private e di tanti altri noti film, apprezzati e premiati in tutto il mondo, come La masseria delle allodole, Hanna K e Oltre le sbarre, che è in questi giorni in Italia (Napoli, Roma, Torino, Pisa, Bologna) per ricordare la sua assurda storia di filmaker censurato, sotto processo in Israele per il documentario che ha realizzato, Jenin Jenin, e in attesa di una sentenza, prevista per il 28 febbraio, che potrebbe costargli 2.500.000 di shekel (500.000 euro) per aver «manipolato» alcune dichiarazioni di quattro militari israeliani. Molti intellettuali e cineasti italiani si stanno mobilitando e hanno firmato un appello web in suo favore. Tra questi Mario Monicelli, Mario Martone e Saverio Costanzo, che lo ha diretto appunto in Private nel 2004.
Non è, per te, un bel momento per parlare di libertà d’espressione in Israele …
Per «Misrter Bakri» non è mai un bel momento! Soprattutto se si tratta di parlare di Israele, in una posizione, direi, non così confortevole… Ad ogni modo era opportuno tentare di fare qualcosa. Andrea Del Grosso, Nicola Perugini e Marco Dinoi (che è venuto a mancare il 15 gennaio scorso, N.d.R.) hanno lavorato molto per questa iniziativa: portare il mio Jenin Jenin in giro per l’Italia e farmi partecipare a incontri e dibattiti per poter raccontare quel che mi sta succedendo e quel che sta succedendo in Israele. A questo hanno aggiunto un appello sul web per raccogliere quante più adesioni possibili, quelle di cineasti e intellettuali italiani…
Costanzo ribadisce la sua completa solidarietà in questa faccenda, ricordando che, nel 2004 (era già in corso il processo) nessuno in Israele volle acquistare il film proprio a causa della sua presenza. Lei stesso profettizzò a Costanzo, ancora prima che «Private» uscisse, che per la sua presenza si sarebbe trovato in mezzo a tanti problemi… Ma, a parte l’Italia, in Israele qualcosa si sta muovendo?
Le risponderò ricordando un aneddoto capitatomi giusto qualche tempo fa, mentre ero a Roma per lo spettacolo «Al Kamandjati», assieme ad Amira Hass. Eravamo alle prove e le chiesi: ‘Amira, ma come valuti la mia posizione e quel che mi sta succedendo?’ Bè, sappiamo tutti che Amira è una bravissima giornalista, coraggiosa, e che vive a Ramallah da diverso tempo. Ebbene mi rispose: ‘Io non posso dirti nulla, non me la sento di prendere una posizione ‘.
Dal punto di vista professionale le cose sono cambiate da quando è iniziato il processo?
Hanno eretto un altro muro… tra me e loro. Un muro che non mi permette di lavorare più in Israele, o almeno di lavorare come facevo prima: a teatro e al cinema. Non riesco più a farmi vedere, a ricordare chi ero e chi sono, a darmi la possibilità magari indiretta di difendermi. Cancellato. Sono stato volutamente cancellato.
Però qualcosa sta facendo…
A dicembre abbiamo finito le riprese del nuovo film di Rashid Masharawi – giovane regista palestinese, autore di Attente (2005), Ticket to Jerusalem (2002), Haifa (1996) – il cui titolo ancora non è sicuro, forse Layla’s Birthday, ma che potrebbe avere qualche chance di partecipare al festival di Cannes. Ma è una storia che certo non accontenterà né gli israeliani né i palestinesi, pur presentandosi come una commedia. È un film costruito sul paradosso della società palestinese: sull’incapacità della politica di farsi carico dei problemi della gente proprio perché il conflitto devia molte delle risorse. È un attacco all’Autorità Palestinese, alla polizia, al sistema giudiziario, alla politica. Io, come attore protagonista, sono un uomo qualsiasi, ordinario, preciso, diligente, quasi maniacale nei miei rituali. Nel bel mezzo di un attacco israeliano mi metto in testa di cercare un regalo per mia figlia, e di trovarlo a tutti i costi, mentre intorno a me si scatena l’inferno. Nonostante tutto quel che mi capita, tutto quello che osservo che non funziona, tutto quello che vedo è sbagliato; riesco a tornare a casa, prima del coprifuoco con delle candele e una torta per mia figlia… Con un po’ di normalità. Una normalità cercata a tutti i costi.
Torniamo in Italia. Ha seguito il dibattito che si è accesso sulla centralità di Israele nella Fiera del Libro di Torino? Come valuta il fatto che alcuni intellettuali, giornalisti e politici stiano tentando un boicottaggio paragonando gli israeliani agli afrikaner del Sudafrica e alla loro politica di apartheid, nei confronti dei palestinesi?
Non ho seguito molto da vicino il dibattito, anche perché probabilmente in Israele non gli si è data tutta questa enfasi come in Italia. E se ne possono immaginare le ragioni. Ho saputo però che Mahmoud Darwish – il grande poeta palestinese – così come altri non parteciperanno. Dal mio punto di vista il boicottaggio è giusto. Come puoi parlare di cultura e di libertà, perché le due cose sono strettamente legate, senza considerare quel che avviene nel tuo paese, cioè in Israele? Come possono dimenticare il fatto che stanno impedendo di esprimermi, a me come ad altri, e conducendo una causa contro la libertà d’espressione in Israele? D’altronde come spiegare il fatto che addirittura il canale satellitare franco-tedesco Artè, che aveva comprato Jenin Jenin, non lo sta mandando in onda, come spiegarlo se non con il boicottaggio? Loro boicottano me e io boicotto loro!
Cosa ti aspetti da un’iniziativa di sostegno come questa, che ti ha fatto incontrare anche qui a Roma un pubblico finora sconosciuto, e che ha avuto il merito di raccogliere i palestinesi che lavorano sparsi per l’Italia, di farvi sentire un po’«nazione» fuori dal vostro paese?
Sinceramente non mi aspetto molto. Non perché non ci creda, anzi, ma perché l’unica cosa che può essere in grado di fare un’iniziativa così è portare tra la gente la libertà che rappresento, la libertà negata. Credo che possa scuoterli, spingerli a difendere anche la loro in nome della mia. Ognuno, anche se non regista o attore o comunque artista, deve difendere la propria. Sempre.
A chi l’altra sera, nella folla della Libreria del Cinema, gli chiedeva come fa ancora ad essere così ingenuo contro i più forti, Bakri candidamente rispondeva: «Sono orgoglioso di essere ancora così ingenuo e naif».

Israele fascista invitato alla fiera del libro di torino

marzo 3, 2008

La militarizzazione della cultura

a cura di ISM-Italia, 6 gennaio 2008

1. Una interessante indiscrezione

Il 2 ottobre u.s. su La Repubblica, pag VII di Torino cronaca, una interessante indiscrezione: SARÀ Israele, con buone probabilità, la nazione straniera al centro della prossima edizione della Fiera internazionale del Libro di Torino, in calendario nella primavera (8-12maggio) del 2008. L’indiscrezione è trapelata in queste ore durante la festa-mercato dei librai torinesi di «Portici di Carta».” La partecipazione dello Stato ebraico alla kermesse libraria dovrebbe concretizzarsi nei prossimi giorni in un incontro fissato a Roma, il 15 ottobre, fra i vertici di Librolandia, guidati dal presidente Rolando Picchioni, e quelli diplomatici di Tel Aviv.”

Abbiamo inviato alle numerose personalità coinvolte nel patrocinio e nella organizzazione della Fiera: al Presidente  e ai Co-Presidenti dell’Alto Comitato di Coordinamento della Fiera Internazionale del Libro, Sergio Chiamparino, Sindaco della Città di Torino, Mercedes Bresso, Presidente della Giunta Regionale del Piemonte, Antonio Saitta, Presidente della Provincia di Torino, agli altri soci  fondatori, Renato Cigliuti, Carla Gatti, Roberto Moisio, ai membri del Consiglio di amministrazione, Rolando Picchioni(1) , Presidente, Fiorenzo Alfieri, Walter Barberis, Francesca Cilluffo, Valter Giuliano, Enrico Grosso, Federico Motta, ai membri del Consiglio di indirizzo, Piero Bianucci, Pier Giovanni Castagnoli, Alberto Conte, Giovanni De Luna, Lorenzo Mondo, Alberto Nicolello, Marco Polillo, Giuliano Soria , al Direttore editoriale, Ernesto Ferrero una lettera avente per oggetto:

“Israele al centro dell’edizione 2008? Una intenzione-decisione discutibile”

invitando le persone citate “ad una ulteriore riflessione sulla opportunità di una tale iniziativa nell’anno in cui a livello mondiale sarà commemorata la Nakba, la pulizia etnica dei palestinesi iniziata prima della risoluzione 181, detta della partizione, approvata dall’ Assemblea Generale dell’ONU  il 29 novembre 1947, che portò il 15 maggio del 1948 alla costituzione dello stato di Israele, pulizia etnica che prosegue anche ai nostri giorni.”

Abbiamo chiesto un incontro al Presidente Rolando Picchioni che però dopo due rinvii ci ha fatto ricevere dal responsabile delle comunicazioni Nicola Gallino, non  molto in vena di comunicare.

2. Un interessante curriculum

Abbiamo consultato wikipedia e il curriculum del Picchioni è di tal rilevanza storica che essersi negato è certamente giustificato ancorché poco educato.

“Rolando Picchioni (Como, 21 maggio 1936) è un politico italiano, attualmente presidente della Fondazione per il libro, la musica e la cultura, che gestisce la parte culturale della Fiera internazionale del libro di Torino e altre iniziative.

Laureato in Lingue e letterature straniere all’Università di Torino, dal 1970 al 1975 è stato assessore alla Provincia di Torino e dal 1972 al 1975 anche presidente del Teatro Stabile di Torino. Deputato nelle file della Democrazia Cristiana dal 1972 al 1983, è stato sottosegretario ai beni culturali dal 1979 al 1981, nei governi Cossiga I e II e nel governo Forlani. Nel 1990 è stato eletto nel Consiglio regionale del Piemonte, dove ha ricoperto l’incarico di capogruppo della DC. Coinvolto nel cosiddetto scandalo petroli, ma assolto.

È stato membro della loggia massonica P2 con la tessera numero 2095.

Nel 1995 è stato rieletto nelle file del CDU, ed è successivamente divenuto Presidente del Consiglio regionale del Piemonte (1995-98). In seguito è entrato nel Partito Popolare Italiano, poi nell’Udeur e quindi nella Margherita.  È tra gli organizzatori della Fiera Internazionale del Libro di Torino, prima in veste di segretario generale della Fondazione per il libro, la musica e la cultura (dal 1999), e poi di presidente (dal 2005).

È componente e Direttore Esecutivo dell’Associazione The World Political Forum.”

3. Una aggiunta interessante all’interessante curriculum

Così termina su wikipedia il curriculum del nostro:

Per il 2008 ha deciso che la Fiera del Libro, prestigioso evento culturale, dovrebbe essere dedicata allo stato razzista di israele, certamente questa sciagurata scelta provocherà la giusta reazione di ogni sincero democratico.”

Un tempestivo e interessante aggiornamento di una prestigiosa biografia!

4. Un silenzio interessante

Il 1° novembre abbiamo chiesto un incontro anche al prof. Giovanni De Luna (ex leader di lotta continua) membro del consiglio di indirizzo. Silenzio (della serie “i chierici alla guerra”).

5. Una conferenza stampa interessante

Il 18 dicembre si è tenuta la prima conferenza stampa. Non eravamo presenti né certo eravamo stati invitati. Ma all’indirizzo http://www.fieralibro.it tutte le informazioni relative.

Secondo una nota apparsa su “La stampa”:  Per l’assessore provinciale alla cultura Valter Giuliano, sarà l’occasione per «stimolare un dialogo sulla pace» (dialogo con chi, mancando i naturali e storici interlocutori?), ma anche, «per presentare il vero [sic!!!] Israele – ha detto il ministro plenipotenziario (israeliano) in Italia Elezar Cohen -, quello che va oltre il tema del conflitto così spesso al centro dell’interesse dei mass media»”.

Una interessante  conferma della natura di pura propaganda dell’iniziativa.

Il tema della edizione 2008 della fiera sarà: Ci salverà la bellezza? [sic!!!, sempre sic!!!]

Da chi? Dagli organizzatori della fiera? Da Israele? Da Bush? Da Romano Prodi e company? Da Veltroni e Franceschini? Da Bassolino e dalla Jervolino e dai loro “rifiuti” di dimettersi? Dai chierici per loro natura pronti ad ogni tradire?

Vi risparmiamo ogni commento sullo sciocchezzaio (repertorio di sciocchezze) con cui viene puntualizzato l’ozioso interrogativo.

Il degrado morale, culturale e politico del paese è noto.

Segue la spiegazione dei motivi della presenza come ospite d’onore dello stato di Israele:

La letteratura israeliana gode da anni di una attenzione crescente, che si è cristallizzata attorno ai nomi di tre dei suoi maggiori rappresentanti, David Grossman, Amos Oz e Abraham Yehoshua (l’onnipresente, invasivo e invadente trio letterario che, secondo Tom Segev, Haaretz 11 agosto 2006, scrive i suoi comunicati “pacifisti”come se lavorasse nell’ufficio legale del ministero degli esteri israeliano)(1), o a scrittori che appartengono alla generazione successiva, come Etgar Keret.

I temi trattati nelle loro opere hanno assunto una valenza universale, che non riguarda soltanto Israele, ma si pongono come altrettante metafore dei dilemmi e delle contraddizioni che agitano il mondo contemporaneo. Ma il quadro culturale del Paese è ovviamente molto più ricco e articolato, a partire dal decano Aron Appelfeld, cresciuto culturalmente nella Mitteleuropa, che sarà anche lui a Torino.

La Fiera 2008 sarà l’occasione per conoscere questo Paese, anche attraverso storici e saggisti come Benny Morris, che si interrogherà proprio sugli eventi di sessant’anni fa, e i suoi artisti, musicisti e scienziati: in Israele è molto avanzata la progettualità urbanistica delle new towns (compreso il muro dell’apartheid?) e la ricerca sulle fonti alternative d’energia (forse le oltre 200 testate nucleari?).

La presenza di voci critiche (avranno invitato anche Ilan Pappe o Amira Hass o Gideon Levy o Edgar Morin o Yitzhak Laor o Nurit Peled o Aharon Shabtai o Jeff Halper o Uri Avnery o Avi Shlaim, oppure è un auspicio che siano presenti i sinceri democratici?) offrirà dunque l’occasione di discutere e mettere a fuoco anche un modello di una convivenza possibile (“mettere a fuoco”, un lapsus freudiano? Lor signori erano forse presenti alla farsa della conferenza di Annapolis e pensano di fare di meglio del gwbush?), con il contributo delle voci più disparate.“(di-sparate, direbbe Freud!)

Alla cultura torinese dopo l’eventocrazia e il mostrismo mancava l’allineamento al militarismo.

6. Alcuni interessanti e “disparati” punti di vista

Vi ricordate la guerra al Libano del 2006, per non dimenticare, ad esempio, la strage di Sabra e Chatila del 1982 e tutto il resto? Vi ricordate che la striscia di Gaza è un campo di concentramento dove con la attiva complicità dell’Italia, dell’Europa e degli USA si sta commettendo un genocidio? (“The Israeli recipe for 2008: Genocide in Gaza, Ethnic Cleansing in the West Bank” di Ilan Pappé, The Independent, June 23, 2007)

Israele non ha mai rispettato le risoluzione dell’ONU, ha violato e continua a violare le convenzioni di Ginevra, ha proseguito la costruzione del Muro dell’Apartheid, giudicato illegale dalla Corte internazionale di Giustizia (9 luglio 2004), ha commesso e continua a commettere crimini contro la popolazione civile documentate da numerose organizzazioni di difesa dei diritti umani israeliani.

Nurit Peled-Elhanan(2) il 28 dicembre 2007 in un incontro con le Donne in nero di Israele ha detto tra l’altro, in un intervento dal titolo “Nello Stato di Israele, la Madre Ebrea sta per scomparire”:  “Ringrazio le Donne in Nero per avermi invitato a parlare qui oggi.  Adesso, vorrei dedicare le mie parole ai bambini della Striscia di Gaza, che stanno lentamente sfiorendo a causa della fame e delle malattie, e alle loro madri, che continuano a mettere al mondo bambini, nutrirli ed  istruirli meravigliosamente. Il tasso di alfabetizzazione nella  striscia di Gaza oggi è al 92% – tra i più elevati al mondo, e tutto ciò nel più terribile campo di concentramento della terra, in cui quelli  che vi risiedono vengono strangolati mentre il mondo civilizzato guarda  in silenzio. …..

Pochi sono in Israele i genitori che ammettono a se stessi che quelli che uccidono i bambini, distruggono le case, sradicano gli ulivi e  avvelenano le sorgenti non sono altro che i loro bellissimi figli e  figlie, i figli che sono stati educati qui nell’arco degli anni alla  scuola dell’odio e del razzismo. I figli che hanno imparato in 18 anni a  temere e disprezzare lo straniero, ad avere paura dei vicini, dei  gentili, figli che sono stati allevati nella paura dell’Islam – una paura che li prepara ad essere soldati brutali e discepoli  dell’assassinio di massa. E non solo questi ragazzi e ragazze uccidono e  torturano: lo fanno con il pieno sostegno della Mamma, con la piena  approvazione di Papà, incoraggiati da una intera nazione che non alza neppure un sopracciglio davanti alla morte di bimbi, vecchi e invalidi.  Una nazione che glorifica piloti che non sentono altro che uno scossone  sull’ala* quando fanno cadere bombe su intere famiglie sterminandole.

Nell’inferno in cui viviamo, nel quotidiano inferno sotto il quale si  agita e cresce il regno sotterraneo dei bambini morti, il ruolo delle Donne in Nero, delle madri e delle nonne che stanno in questa piazza ed in piazze simili in tutto il mondo è quello di essere custodi di una sana, naturale maternità per assicurarsi che quella voce non si spenga e non sparisca dalla faccia della terra. Di rammentare ad un mondo che ha perso la sua immagine umana che siamo stati tutti fatti a Sua Immagine; di dire costantemente e infaticabilmente che ancora, a dispetto del Muro dell’apartheid, a dispetto del crudele assedio di Gaza, a dispetto  delle guerre senza causa, e di fronte alla furia di quelli che comandano in questo paese, i quali tutti fino all’ultimo sono criminali contro l’umanità, la voce delle donne e delle madri – la voce della compassione, della giustizia e della speranza – non verrà ridotta al  silenzio.”

*si fa riferimento al pilota dell’aviazione militare ed ex capo di stato maggiore IDF Dan Halutz, il quale alla domanda di un giornalista – poco dopo che aveva lanciato una bomba da una tonnellata su un edificio di appartamenti nella Striscia di Gaza,  uccidendo parecchi civili – su che cosa provasse quando lanciava una bomba, rispose “Ho sentito un leggero colpo all’ala quando la bomba è partita”. (n.d.t.)

Israele è responsabile della pulizia etnica dei palestinesi.

Lo ha detto lo storico israeliano Benny Morris, “What the new material shows is that there were far more Israeli acts of massacre than I had previously thought”, Survival of the Fittest? An Interview with Benny Morris By Ari Shavit, Haaretz, 8 gennaio 2004(3) .

Lo si può leggere in ogni dettaglio nel saggio “The Ethnic Cleansing of Palestine”, (La pulizia etnica della Palestina), Oneworld 2006, dello storico israeliano Ilan Pappè.

Israele è uno stato razzista.

Lo si può leggere in un editoriale di Haaretz, “A racist Jewish state” (Uno stato ebraico razzista), 20/07/2007 e nell’articolo del giornalista israeliano Gideon Levy, “One racist nation” (Una nazione razzista), Haaretz 26/03/2006 (Ha’aretz  è un quotidiano israeliano).

Israele è uno stato fascista.

Lo si può leggere in “Politicidio – Sharon e i Palestinesi”, Fazi 2003, del sociologo israeliano Baruch Kimmerling.

Israele è uno stato di Apartheid.

Lo hanno sostenuto Danny Rubinstein, israeliano, editorialista di Haaretz, parlando alla  ‘International Conference of Civil Society in Support of Israeli-Palestinian Peace‘ organizzata dall’ONU a Brussels il 30-31 agosto 2007: “Today Israel is an apartheid state with different status for four different Palestinian groups: those in Gaza, East Jerusalem, the West Bank and Israeli Palestinians”,  e un recente editoriale di Haaretz, “Where is the occupation” del 3 ottobre 2007, “The de facto separation is today more similar to political apartheid than an occupation regime because of its constancy” (Ha’aretz  è un quotidiano israeliano).

Lo storico israeliano Ilan Pappé ha concluso una sua conferenza a Tokio nel marzo 2007 con questa domanda: Perché il mondo permette ad Israele di fare quello che fa?”

Noi aggiungiamo: Perché l’Italia e l’Europa sono complici a tutti i livelli di uno stato coloniale, razzista e fascista, responsabile di atrocità di così lungo periodo nei riguardi del popolo palestinese e libanese?

Israele è ormai il 4° venditore di armi al mondo, possiede oltre 200 testate nucleari e 3 sottomarini nucleari, presto ne avrà altri due.

Naomi Klein in “Shock economy” scrive:

“Ciò che rende Israele interessante come modello «pistola e caviale» non è solo il fatto che la sua economia sia stabile anche di fronte a grossi shock politici come la guerra con il Libano del 2006 o la presa di controllo della Striscia di Gaza da parte di Hamas, ma anche il modo in cui Israele ha creato un’economia che si espande precisamente in risposta diretta all’escalation della violenza. Le ragioni per cui l’industria israeliana è a suo agio tra i disastri non sono misteriose. Anni prima che le aziende americane ed europee comprendessero l’enorme potenziale del boom della sicurezza globale, le società tecnologiche israeliane lavoravano alla creazione di un’industria della sicurezza nazionale, e ancora oggi continuano a dominare il settore. L’Israeli Export Institute stima che 350 società israeliane si occupano della vendita di prodotti per la sicurezza interna e altre 30 entreranno nel mercato nel 2007 . Dal punto di vista delle aziende, questo sviluppo ha fatto di Israele un modello da emulare ne! mercato post-11 settembre. Dal punto di vista sociale e politico, invece, Israele dovrebbe rappresentare qualcos’altro: un severo monito. Il fatto che Israele continui a godere di una prosperità sempre maggiore, anche mentre muove guerra ai Paesi vicini e compie violenze nei territori occupati, dimostra quanto è pericoloso costruire un’economia sulla premessa della guerra permanente e di disastri sempre più drammatici. L’attuale abilità di Israele di unire pistole e caviale è il culmine di un mutamento sostanziale nella natura della sua economia, nel corso degli ultimi quindici anni: un mutamento che ha avuto un impatto profondo ma poco studiato sulla parallela disintegrazione delle prospettive di pace.”.

Le esportazioni israeliane di prodotti e servizi antiterrorismo sono aumentate del 15% nel 2006 e la crescita prevista nel 2007 è del 20% (Klein, ibidem).

7. La militarizzazione della cultura

La decisione dei responsabili della Fiera del libro di invitare lo stato di Israele come ospite d’onore non ha nulla a che vedere con la cultura.

Non è solo una palese violazione del principio della autonomia della cultura.

Non è solo un atto di servilismo politico per permettere a Israele la propaganda più strumentale.

Segna un passo emblematico in direzione della militarizzazione della cultura.

Passerà del tempo, ma alla fine il mondo guarderà con occhi assai critici ai crimini, alle complicità, agli opportunismi, ai silenzi e alle viltà che hanno accompagnato il conflitto israelo-palestinese e altri conflitti, in questo passaggio d’epoca.

8. Una conclusione

Torino è stata la città di Antonio Gramsci, Piero Gobetti, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Primo Levi.

Una città civile.

Una città che sarà capace di reagire in modo fermo e democratico.

(1)   A proposito del trio letterario, così invasivo in Italia, Aharon Shabtai, un poeta dissidente israeliano ha scritto in una recente intervista: “L’establishment li adotta, li coopta, è il suo metodo. Su un piano generale loro si oppongono a voce alta all’Occupazione, e questa posizione dà loro credibilità quando sostengono il regime su importanti argomenti specifici. Ad esempio hanno sostenuto gli Accordi di Oslo, l’imbroglio di Camp David del luglio 2000, le misure prese contro l’Intifada e la seconda guerra del Libano. Gli scrittori della sinistra soft non danno un contenuto politico alla letteratura, anzi al contrario, invece di spingere a decidere o ad agire sublimano in cultura ciò che è  politico.

 Nelle loro mani l’Occupazione diventa la psicomachia dell’anima bella, tormentata, di Israele.

 Sono riusciti a farne un clichè del discorso culturale israeliano.”

(2) Nurit Peled-Elhanan

Nata nel 1949, israeliana, docente universitaria, possiede un MA in Letteratura comparata. È

figlia del famoso generale Matti Peled, conosciuto per le sue battaglie pacifiste e progressiste.

La figlia di Nurit Peled-Elhanan, Smadar, 13 anni, è stata vittima di un attentato suicida.

“Quando mia figlia è morta, ho impedito alla disperazione di accecarmi e ho pronunciato un discorso che ha suscitato scalpore, centrato sulla responsabilità di una politica miope che non vuole riconoscere i diritti dell’altro e fomenta l’odio e gli scontri”.

(3) Benny Morris è uno storico revisionista di regime. “Quello che i nuovi documenti dimostrano è che vi sono stati molti più massacri da parte israeliana di quanto precedentemente avessi pensato ”.

Nella stessa intervista Benny Morris accusa Ben-Gurion di non aver espulso tutti i palestinesi nel 1948 e i palestinesi di essere tutti dei serial-killer.

Perché non parteciperò alla fiera del libro di Torino 2008

marzo 3, 2008

di Tariq Ali

traduzione a cura di ISM-Italia

Quando ho accettato di partecipare alla Fiera del Libro di Torino, come ho fatto altre volte, io non sapevo che ‘l’ospite d’onore’ sarebbe stato Israele nel 60° anno della sua costituzione. Ma questo è anche il 60° anniversario di quello che i palestinesi chiamano la ‘nakba’…il disastro che accadde loro quell’anno, quando furono espulsi dai loro villaggi, uccisi in molti, e alcune donne stuprate dai colonizzatori. Questi fatti non sono più in discussione. Allora perché la fiera del libro di Torino  non invita i palestinesi in ugual numero? 30 scrittori israeliani e  30 palestinesi (e vi assicuro che ce ne sono e sono eccellenti poeti e romanzieri) avrebbero potuto essere visti come un segno positivo e di pace e si sarebbe potuto svolgere un dibattito costruttivo. Una versione letteraria dell’orchestra Diwan di Daniel Barenboim, metà israeliani, metà palestinesi. Una tale iniziativa avrebbe messo le persone insieme, ma no. I commissari culturali sanno che cosa è meglio. Io ho discusso con vigore con alcuni scrittori israeliani in visita alla fiera in altre occasioni e avrei fatto volentieri lo stesso di nuovo se le condizioni fossero state differenti.

Quello che hanno deciso di fare è una brutta provocazione.

Apparirà che la cultura è sempre di più legata alle priorità politiche  di USA/EU. L’occidente è cieco alle sofferenze dei  palestinesi. La guerra  israeliana in Libano, i rapporti giornalieri dal ghetto di Gaza non smuovono l’Europa ufficiale. In Francia, sappiamo, è praticamente impossibile criticare Israele. Anche in Germania, per ragioni particolari. Sarebbe triste se l’Italia scegliesse la stessa strada. Quante volte dobbiamo sottolineare che criticare le politiche coloniali di Israele non è anti-semitismo? Accettare questo significa diventare  vittime spontanee del ricatto che l’establishment israeliano usa per mettere a tacere i suoi critici. Ci sono critici israeliani  coraggiosi come Aharon Shabtai, Amira Hass, Yitzhak Laor e altri che non permettono che le loro  voci siano soffocate in questo modo. Shabtai ha rifiutato di partecipare a questa fiera. Come potrei io fare diversamente?

Una cosa è sostenere il diritto di Israele a esistere, che io faccio e ho sempre fatto. Ma da questo estrapolare che questo diritto a esistere significhi che Israele ha un assegno in bianco per fare ciò che vuole  a coloro che ha espulso e a coloro che tratta come Untermenschen (subumani) è inaccettabile. Personalmente io sono in favore di un unico stato Israele/Palestina nel quale tutti i cittadini siano uguali. Mi si dice che è una utopia. Può essere, ma è la sola soluzione a lungo termine. A causa del contenuto dei miei romanzi mi si chiede spesso (più recentemente in Madison, Wisconsin) se sia possibile  ricreare i bei tempi della Andalusia e della Sicilia dove tre culture hanno coesistito per lungo tempo . La mia risposta è la stessa: l’unico posto in cui oggi si potrebbero ricreare quei tempi è Israele/Palestina.

Noi viviamo in un mondo di double standards (doppi standard), ma non è necessario accettarli. Capita alcune volte che individui e gruppi ai quali è stato fatto del male, lo infliggano a loro volta. Ma il primo non giustifica il secondo. E’ stato l’anti-semitismo europeo che ha tollerato il genocidio ebraico della seconda guerra mondiale del quale i palestinesi sono ora diventati le vittime indirette. Molti israeliani sono consci di questo fatto, ma preferiscono non pensarci. Molti europei considerano i palestinesi e i mussulmani come una volta hanno considerato gli ebrei. Questa è l’evidente ironia nei commenti della stampa  e nelle trasmissioni televisive praticamente in ogni paese europeo

E’ un peccato che la burocrazia della Fiera del Libro di Torino abbia deciso di fare da mezzano ai nuovi pregiudizi che spazzano il continente.

Speriamo che il loro esempio non sia seguito altrove.

5 February, 2008

ISM- Italia

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Gianni Vattimo: Perché boicotto Israele

marzo 3, 2008
Confesso: sono uno dei pochissimi che finora hanno firmato un appello
per il boicottaggio dell’invito di Israele come ospite d’onore alla
prossima Fiera del Libro di Torino.

Se tutti i grandi giornali italiani fanno a gara nel deprecare questo 
boicottaggio, vuol dire che la minaccia dell’antisemitismo non è poi 
così incombente. Ma non di questo credo si debba discutere. L’invito 
a Israele – che, a quanto ne so ma forse sbaglio, ha sostituito 
improvvisamente quello che era già stato avviato per avere ospite 
quest’anno l’Egitto – è oggetto di un boicottaggio politico, perché 
politica è l’iniziativa della Fiera. Chi ci accusa, noi boicottatori, 
di voler «imbavagliare» gli scrittori israeliani, o è in mala fede o 
non sa quel che si dice.

Sono argomenti terribilmente simili a quelli usati nella recente 
polemica sull’invito al Papa a tenere la lezione magistrale alla 
Sapienza di Roma: anche qui sarebbe in gioco la libertà di parola, il 
valore supremo della cultura, il dovere del dialogo. Dialogo? Nel 
caso della Sapienza, si sa che razza di dialogo era previsto. Il Papa 
sarebbe stato ricevuto come il grande capo di uno Stato e di una 
confessione religiosa, in pompa magna, così magna che persino la 
semplice possibilità di una manifestazione di pochi studenti 
contestatori a molte centinaia di metri di distanza lo ha fatto 
desistere dal proposito. Questo caso di Israele alla Fiera è lo stesso.

Chi boicotta non vuole affatto impedire agli scrittori israeliani di 
parlare ed essere ascoltati. Non vuole che essi vengano come 
rappresentanti ufficiali di uno Stato che celebra i suoi sessant’anni 
di vita festeggiando l’anniversario con il blocco di Gaza, la 
riduzione dei palestinesi in una miriade di zone isolate le une dalle 
altre (per le quali si è giustamente adoperato il termine di 
bantustan nel triste ricordo dell’apartheid sudafricana), una 
politica di continua espansione delle colonie che può solo 
comprendersi come un vero e proprio processo di pulizia etnica. È 
questo Stato, non la grande cultura ebraica di ieri e di oggi 
(Picchioni e Ferrero hanno forse pensato di invitare alla Fiera Noam 
Chomsky o Edgar Morin?) che la Fiera si propone di presentare 
solennemente ai suoi visitatori, offrendogli un palcoscenico 
chiaramente propagandistico, certamente concordato con il governo 
Olmert (che del resto sta offrendo lo stesso «pacchetto» anche alla 
Fiera del libro di Parigi, due mesi prima che a Torino).

Nei tanti articoli che ci sommergono con deprecazioni e lezioni 
moralistiche sul dialogo (andate a parlarne a Gaza e nei territori 
occupati!) e la libertà della cultura, non manca mai, e questo è 
forse l’aspetto più vergognoso e francamente scandaloso, il richiamo 
all’Olocausto. Vergogna a chi (magari anche essendo ebreo, come 
quelli che si riuniscono nell’associazione «Ebrei contro 
l’occupazione») rifiuta di accettare la politica aggressiva e 
razzista dei governi di Israele.
Chi boicotta la Fiera di Torino 
boicotta «gli ebrei» (PG Battista) e dimentica (idem) i 
rastrellamenti nazisti e lo sterminio nei campi. Uno studioso ebreo 
americano, Norman G. Finkelstein, ha scritto su questo vergognoso 
sfruttamento della Shoah un libro intitolato significativamente 
L’industria dell’Olocausto (in italiano nella Bur). Proprio il 
rispetto per le vittime di quello sterminio dovrebbe vietare di 
utilizzarne la memoria per giustificare l’attuale politica israeliana 
di liquidazione dei palestinesi. Nessuno dei «boicottatori» nega il 
diritto di Israele all’esistenza. Un diritto sancito dalla comunità 
internazionale nel 1948; proprio da quell’Onu di cui Israele, negli 
anni, non ha fatto che disattendere con arroganza i richiami e le 
delibere.

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UNA SHOAH PIU’ GRANDE…

marzo 1, 2008

di Germano Monti    

Da molti anni abbiamo dovuto fare l’abitudine alla sistematica disinformazione esistente in Italia sulla questione palestinese, intossicazione direttamente dipendente dalla subordinazione bipartisan della politica italiana a quella dello Stato ebraico. Basti dire che l’inviato più fazioso e manipolatore che la RAI abbia mai avuto in Medio Oriente – quel Claudio Pagliara idolo delle lobby sioniste – fu piazzato lì da Berlusconi all’inizio del suo mandato e lì è rimasto per tutta la durata del governo Prodi.
Ultimamente, si è passato ogni limite, compreso quello della decenza: mentre autorevoli (si fa per dire) esponenti della politica, della cultura e dell’informazione si mobilitano come un sol’uomo contro il boicottaggio della Fiera del Libro di Torino, in cui lo Stato di Israele sarà l’ospite d’onore, i morti palestinesi sotto le bombe, i missili, le cannonate e i rastrellamenti israeliani non meritano mai l’onore della prima pagina e quasi mai quello di un trafiletto. Il fatto che da quasi un anno e mezzo l’intera popolazione della Striscia di Gaza sia sottoposta ad un embargo internazionale (voluto dallo Stato ebraico e dagli Stati Uniti, cui si è prontamente accodata l’Unione Europea, compresa l’Italia di Berlusconi e di Prodi) e che questo stia comportando la riduzione alla fame di un milione e mezzo di esseri umani, non mobilita i nostri intellettuali, i nostri opinionisti, i nostri politici.
La complicità con i crimini israeliani ha raggiunto il livello dell’oscenità: trentaquattro persone assassinate in due giorni, fra cui molti bambini colpevoli di giocare a pallone su campetti improvvisati, non ha prodotto un solo soprassalto di indignazione fra i tanti che, particolarmente a “sinistra”, si disperano perché qualcuno ha manifestato l’intenzione di disturbare la celebrazione della nascita di uno Stato – canaglia, anzi, dello Stato – canaglia per eccellenza, visto che detiene il record assoluto delle violazioni delle Risoluzioni delle Nazioni Unite, non ha mai sottoscritto i più importanti trattati internazionali (da quello sulla non proliferazione nucleare a quello sullo sfruttamento delle risorse idriche, tanto per citarne un paio) ed è retto da una legislazione razzista e discriminatoria che non ha nulla da invidiare a quella dell’Italia del 1938 o a quella del Sudafrica dell’Apartheid.
Ieri sera, guardavo su Al Jazeera le immagini strazianti del bambino di cinque mesi quasi fatto a pezzi da un missile israeliano: il nome di quel bambino me lo sono dovuto andare a cercare su siti non italiani, perché qui da noi le vittime palestinesi non hanno mai un nome, meno che mai un volto. Mohammed Al Bourai, si chiamava quel bambino. Quel nome non lo sentiremo, ovviamente, mai nelle corrispondenze di Claudio Pagliara, ma non lo leggeremo mai in un editoriale di Valentino Parlato, così come non uscirà mai dalla bocca di fausto bertinotti, entrambi, invece, straordinariamente loquaci nel condannare il boicottaggio della Fiera del Libro dedicata allo Stato di Israele.
Ora, sono curioso di vedere se e come Parlato, bertinotti e tanti altri commenteranno le parole di un certo Matan Vilnai, un nome che ai più non dice nulla, ma che in Israele è qualcuno, poiché è stato più volte Ministro ed attualmente è il Vice Ministro (laburista) della Difesa.  Questo signore sa di cosa parla: è stato un ufficiale dell’unità speciale Sayeret Matkal, di cui è stato comandante l’attuale Ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, unità formata sul modello della S.A.S. britannica, con cui ha in comune anche il simpatico motto “Chi osa vince”.
Orbene, il Vice Ministro (nonché commilitone del Ministro), secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Haaretz, ha dichiarato alla radio dell’esercito israeliano che il lancio di razzi contro le città israeliane varrà ai Palestinesi “una Shoah più grande, useremo tutti i mezzi a nostra disposizione per difenderci”. Ha detto proprio così, “una Shoah più grande”. Un suo portavoce si è poi premurato di precisare che “il Vice ministro della Difesa ha usato il termine nel senso di catastrofe”, e che “egli non voleva fare alcuna allusione al genocidio”. Ma le parole hanno un senso, e certe parole sono inequivocabili, specie se pronunciate da chi sa benissimo di cosa sta parlando.
Dunque, un esponente del governo israeliano dichiara pubblicamente che i Palestinesi devono aspettarsi qualcosa di peggio di quello che i nazisti hanno commesso nei confronti degli Ebrei.
Domande che si affollano nella mia mente: il sig. Vilnai sarà estromesso dal governo israeliano? Parlato e bertinotti si indigneranno? I vertici della Fiera del Libro chiederanno che almeno il signor Vilnai non si presenti ai festeggiamenti in onore dello Stato di cui è al governo? Le associazioni di ex deportati e dei sopravvissuti alla Shoah (quella più piccola, secondo il sig. Vilnai) faranno sentire la loro voce? Aspetto risposte. Non riuscendo a cancellare il pensiero che il nome di Mohammed Al Bourai non commuoverà intere generazioni, come ha fatto quello di Anna Frank, perché a lui non hanno lasciato nemmeno il tempo di imparare a scrivere.

Roma, 29.2.2008

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BAMBINI DELLA POLVERE

marzo 1, 2008

di JOHN PILGER

Mentre l’esercito israeliano cerca di imprigionare un intero popolo, sono i
giovani a soffrire maggiormente. La metà dei palestinesi uccisi negli ultimi
sei anni sono bambini.

Israele sta distruggendo ogni concetto di Stato della Palestina e gli si
permette di imprigionare una nazione intera. Lo si vede dagli ultimi
attacchi nella striscia di Gaza, le cui sofferenze sono diventate la
metafora di una tragedia imposta ai popoli del Medio Oriente ed oltre.
Questi attacchi, riferiti da “Channel 4 News” erano “mirati a figure chiave
tra le milizie di Hamas” e ad “infrastrutture di Hamas”. La BBC ha descritto
uno “scontro” tra le suddette milizie e un caccia F-16 israeliano.

Consideriamo tale scontro. La macchina su cui viaggiavano alcuni militi di
Hamas è stata fatta esplodere da un missile lanciato da un
cacciabombardiere. Chi erano questi militanti? Per quanto mi riguarda, tutte
le persone di Gaza “militano” per resistere ai loro carcerieri ed aguzzini.
Mentre la “infrastruttura di Hamas” altro non era che il quartier generale
del partito che lo scorso anno aveva vinto democraticamente le elezioni in
Palestina
. Riferirlo così avrebbe dato un’impressione errata, avrebbe
significato che le persone in quella macchina e tutte le altre, incluse
quelle con vecchi e neonati, che negli ultimi anni si sono “scontrate” con
cacciabombardieri sono state vittime di un’ingiustizia mostruosa. Sarebbe
troppo vicino alla verità.

“Alcuni dicono ­ continua il commentatore di Channel 4 ­ che Hamas se l’è
cercato (questo attacco)S” Forse si riferiva ai razzi lanciati su Israele
dalla prigione di Gaza, razzi che non avevano ucciso nessuno. Secondo la
legge internazionale un popolo occupato ha tutti i diritti di usare le armi
contro le forze occupanti
. Ma di questo diritto non se ne parla mai. Il
giornalista di Channel 4 parlava di “guerra infinita” suggerendone di
equivalenti. Ma qui non si tratta di una guerra. Si tratta della resistenza
di un popolo tra i più poveri e vulnerabili della terra ad una prolungata,
illegale occupazione imposta dalla quarta potenza militare al mondo, le cui
armi di distruzione di massa oscillano tra le bombe a grappolo a bombe
termonucleari, e finanziata dal proprio strapotere.

Soltanto negli ultimi sei anni, scrive lo storico Ilan Pappé, “le forze
israeliane hanno ucciso 4.000 palestinesi, di cui la metà bambini
“.

Vediamo come funziona questo potere. Secondo documenti ottenuti dalla Stampa
Internazionale Riunita, “un tempo Israele finanziava Hamas per cercare di
dividere e diluire l’appoggio dei palestinesi alla forte e laica PLO
(Organizzazione per la Liberazione della Palestina) usandolo come valida
alternativa religiosa”, parole di un ex ufficiale della CIA.

Oggi Israele e Stati Uniti hanno invertito la loro tattica e appoggiano
apertamente i rivali di Hamas, Al-Fatah, con mazzette di milioni di dollari.
Di recente Israele ha lasciato che 500 guerriglieri di Al-Fatah
raggiungessero segretamente la striscia di Gaza attraverso l’Egitto, dove
erano stati addestrati da un altro cliente americano, la dittatura del
Cairo. Lo scopo di Israele è di minare il governo palestinese eletto e di
provocare una guerra civile. Non ci sono riusciti del tutto. In tutta
risposta, i palestinesi hanno formato un governo di unità nazionale di Hamas
e Al-Fatah. Gli ultimi attacchi servivano a distruggere questa alleanza.

Con il caos assicurato nella striscia di Gaza e la Cisgiordania murata, il
piano di Israele, scrive l’accademico palestinese Karma Nabulsi “è una
visione alla Hobbes di una società anarchica, mozza, violenta, impotente,
distrutta, impaurita, dominata da milizie e bande rivali, da ideologie
religiose ed estremiste, spezzettata in tribalismi etnici e religiosi,
pervasa di collaborazionisti Guardate all’Iraq di oggi”

Il 19 maggio il Guardian ricevette questa lettera da Omar Jabary al-Sarafeh,
un residente di Ramallah: “Terra, acqua e aria sono sotto la continua
sorveglianza di un sofisticato sistema militare che fa di Gaza una specie di
Truman Show. In questo film ogni attore di Gaza ha un ruolo predefinito e
l’esercito israeliano dirige la regiaS La striscia di Gaza deve essere vista
per quello che èS un laboratorio israeliano sostenuto dalla comunità
internazionale dove esseri umani sono usati come cavie per collaudare i più
drammatici e perversi sistemi economici di soffocamento e sopraffazione
“.

Lo stimato giornalista israeliano Gideon Levy ha descritto la fame che
spazia tra il milione e un quarto degli abitanti di Gaza e le “migliaia di
feriti, disabili e traumatizzati psichici che non ricevono alcuna curaS
Ombre di esseri umani vagano per le macerie essi sanno soltanto che
l’esercito israeliano tornerà e sanno che cosa significherà per loro: più
imprigionamenti nelle loro stesse case per settimane, più morte e
distruzione in proporzioni mostruose”.

Ogni volta che torno a Gaza sono consumato da una specie di malinconia, mi
sento come se violassi un luogo segreto di lutto. Spirali di fumo sono
sospese nel cielo dello stesso Mar Mediterraneo conosciuto dai popoli
liberi, ma non qui. Lungo spiagge che i turisti riterrebbero pittoresche si
trascinano i carcerati di Gaza; code di figure seppiate si trasformano in
silouhette, marciando sui bordi dell’acqua tra l’andarivieni ondeggiante di
liquami. Acqua ed elettricità vengono tagliate, di nuovo, quando i
generatori sono colpiti, ancora. Icone commemorative, sfregiate da
proiettili, sono disegnate sui muri, una ricorda una famiglia di 18 persone,
tra uomini, donne e bambini, che si sono “scontrate” con una bomba
israelo/americana da 500 libbre lanciata sul loro condominio mentre
dormivano. Presumibilmente erano militanti.

Più del 40 per cento della popolazione di Gaza sono bambini sotto i 15 anni.
In uno studio sul campo nella Palestina occupata, svolto per il British
Medical Journal e durato quattro anni, il dottor Derek Summerfield scrisse
che “due terzi dei 621 bambini uccisi a posti di blocco, per strada, mentre
andavano a scuola, o nelle loro case, sono morti per ferite da armi di
piccolo calibro, dirette, in più di metà dei casi, alla testa, al collo, al
petto ­ ferite da cecchino”. Un mio amico alle Nazioni Unite li chiama
“bambini della polvere”. La loro meravigliosa fanciullezza, il loro chiasso,
le loro risatine, il loro fascino preludevano a un incubo.

Ho incontrato il dottor Khalid Dahlan, uno psichiatra a capo di diversi
progetti comunitari per la sanità infantile a Gaza, che mi ha parlato del
suo ultimo sondaggio. “La statistica che personalmente trovo insopportabile”
­ dice ­ “è che il 99.4% dei bambini studiati soffrono di trauma. Quando si
guardano i vari tassi di esposizione a trauma si vede che il 99.2% delle
case dei bambini studiati è stata bombardata, che il 97.5% è stato esposto a
lacrimogeni, il 96.6% ha visto sparatorie, il 95.8% ha assistito a
bombardamenti e funerali e quasi un quarto ha assistito al ferimento o alla
morte di loro famigliari”.

Ha aggiunto che bambini in tenera età, alcuni di soli tre anni, devono
confrontarsi con la dicotomia causata da queste condizioni. Sognano di
diventare dottori e infermieri, ma poi subentra una visione apocalittica di
se stessi come prossima generazione di kamikaze.
Si sentono invariabilmente
così subito dopo un attacco israeliano. Per alcuni ragazzi i loro eroi non
sono più calciatori, ma una confusione di “martiri” palestinesi e perfino i
nemici “perché i soldati israeliani sono i più forti e hanno elicotteri
Apache”.

Poco prima della sua morte, Edward Said rimproverava amaramente i
giornalisti per quello che lui chiamava il loro ruolo distruttivo nel
“separare il contesto della violenza palestinese, risposta di un popolo
disperato e orribilmente oppresso, dalla terribile sofferenza da cui
deriva”.
Proprio come l’invasione dell’Iraq era “una guerra mediatica” lo
stesso si può dire del grottesco conflitto “a senso unico” in Palestina.
Come sottolinea un’innovativa ricerca della University Media Group di
Glasgow, ai telespettatori si dice raramente che i palestinesi sono vittime
di un’occupazione militare illegale; il termine “territori occupati” è
spiegato di rado. Soltanto il 9 per cento dei giovani intervistati nel Regno
Unito sanno che sono gli israeliani gli occupanti e che i coloni illegali
sono ebrei; molti credono che siano palestinesi. L’uso ricercato del
linguaggio da parte dei giornalisti televisivi è cruciale nel mantenimento
di tale confusione e ignoranza. Parole come “terrorismo” e “brutale
assassinio a sangue freddo” descrivono le morti israeliane, quasi mai quelle
palestinesi.

Ci sono meritevoli eccezioni. Il giornalista sequestrato della BBC, Alan
Johnston, è una di queste, eppure, tra la valanga di servizi riguardanti il
suo sequestro, non si è parlato delle migliaia di palestinesi sequestrati da
Israele, molti dei quali non vedranno le loro famiglie per anni. Non ci sono
appelli per loro. A Gerusalemme, l’Associazione della Stampa Straniera
documenta sparatorie e intimidazioni che riguardano la categoria fatte da
soldati Israeliani. In un periodo di otto mesi, otto giornalisti, incluso il
capo dell’ufficio della CNN di Gerusalemme, sono stati feriti da soldati
israeliani, alcuni di loro seriamente. In ogni singolo caso, l’associazione
ha protestato, e in ogni singolo caso non ci fu risposta soddisfacente
.

La censura per omissione è molto diffusa nel giornalismo occidentale per
quanto riguarda Israele, specialmente negli Stati Uniti, dove Hamas è
descritta come “un gruppo terrorista che ha giurato la distruzione di
Israele” e che “rifiuta di riconoscere Israele e vuole combattere e non
parlare”. Questa tesi sopprime la verità: che Israele vuole la distruzione
della Palestina. Inoltre, le proposte da lungo avanzate da Hamas per una
tregua di 10 anni sono state ignorate, insieme al recente speranzoso
cambiamento di ideologia all’interno di Hamas che equivale ad una storica
accettazione della sovranità di Israele.
La carta (di Hamas) non è il
Corano” ha detto un alto ufficiale di Hamas, Mohammed Ghazal. “Storicamente
crediamo che tutti i palestinesi appartengono alla Palestina, ma ora stiamo
parlando della realtà, di soluzioni politicheS Se Israele arriverà al punto
di poter parlare con Hamas, non credo che ci sarebbero problemi nel
negoziare con gli israeliani (per una soluzione)”.

L’ultima volta che ho visto Gaza, guidando verso il posto di blocco e il
filo spinato, sono stato premiato dallo spettacolo di bandiere palestinesi
mosse dal vento dietro le mura della recinzione. Erano bambini che le
facevano sventolare, mi fu riferito. Fanno aste con bastoni legati insieme e
uno o due di loro scalano un muro e tengono la bandiera tra di loro, in
silenzio. Lo fanno quando ci sono in giro stranieri perché credono che loro
lo diranno al mondo.

L’ultimo libro di John Pilger, “Freedom Next Time”, è pubblicato in edizione
tascabile da Black Swan (£8.99). Il suo primo film per il cinema, “War on
Democracy”, uscirà il 15 giugno.

John Pilger
Fonte:
http://www.newstatesman.com/

Link: http://www.newstatesman.com/200705280029
28.05.2007


Scelto e tradotto per
www.comedonchisciotte.org da GIANNI ELLENA

Abraham Yehoshua: se questo è scrittore israeliano è un pacifista……

marzo 1, 2008

 

Riportiamo qui a seguito – con nostri commenti tra parentesi – l’emblematica intervista rilasciata dallo scrittore “pacifista” israeliano Abraham Yoshua al quotidiano Haaret’z e riportata dal Corriere della Sera. E’ inutile ricordare che Yoshua è uno degli ospiti d’onore alla Fiera del Libro di Torino a Maggio dedicata ad Israele e che viene sbandierato in Italia come scrittore pacifista, progressista, democratico etc. etc.

“Uno Stato binazionale? La fine di Israele”
Yehoshua: «Non vorrei un vicino musulmano»
Intervista ad Haaretz dell’autore che in passato era stato un sostenitore della convivenza tra i due popoli

GERUSALEMME — Abraham Yehoshua vive ad Haifa, la città dove arabi ed ebrei provano a convivere. Ritrovarsi con un vicino di casa palestinese, al piano di sotto, in uno Stato da dividere con lui, lo disturberebbe. (Commento: se qualcuno in Italia avesse detto ad un giornale che vivere con un ebreo al piano lo disturberebbe, come sarebbe stato giudicato?)«Se vivessimo in uno Stato binazionale, a Yom Kippur non potrei obbligarlo a spegnere la radio o a non andare in giro con l’auto», ha risposto lo scrittore a due giornalisti di Haaretz. Quando hanno provato a replicare «lei è laico, che cosa le importa di Yom Kippur», spiega: «È un giorno molto importante per me. Deve mantenere il suo carattere. Io vivo in una comunità con una sua memoria, le sue festività, gli altri hanno le loro celebrazioni e le loro tradizioni». Da qui l’avvertimento: «Uno Stato binazionale porterebbe alla nostra distruzione. Gli ebrei fuggirebbero e i palestinesi arriverebbero. Significherebbe cancellare il desiderio di far parte della nazione, eliminerebbe i simboli e l’identità. Dovremmo cambiare la bandiera, l’inno. Gli arabi non vogliono due Stati». (commento: è più o meno lo stesso concetto espresso in questi anni dalla Lega o da Haider verso i migranti e i musulmani. Ma se non lo accettiamo o tolleriamo dai leghisti e non lo abbiamo tollerato da Haider perchè dovremnmo tollerarlo da Yoshua?)
. Yehoshua, uno degli scrittori simbolo della sinistra israeliana, spiega chi considera simile. «Ho molto in comune con gli ultraortodossi moderati di Bnei Brak. Molto di più che con un poeta arabo e laico come Mahmoud Darwish. Lui vive secondo codici diversi, musulmani. Non sono contro questi codici, li rispetto». Idee che ripete nel nuovo libro, Afferrare la Patria, arrivato in questi giorni nelle librerie israeliane, una raccolta di saggi.
Sono 41 anni che non fuma, dalla guerra dei Sei giorni, quando giurò che non avrebbe acceso più una sigaretta fino alla pace. Sa che non succederà presto. «La sensibilità che dimostriamo verso qualcuno che è stato rapito — continua — è molto più profonda di quella nei codici dei palestinesi. Noi abbiamo i nostri codici morali, gli arabi i loro. Mandano la gente a farsi saltare in aria. Non credo che neppure durante l’Olocausto qualcuno avrebbe potuto chiederlo a suo figlio. E non sto parlando di uccidere bambini tedeschi, neppure per ammazzare i soldati. Noi non vogliamo distruggerli. I palestinesi a Gaza invece distribuiscono caramelle dopo un attentato».
I giornalisti di Haaretz hanno potuto vedere le bozze di lavoro per il libro. In una pagina l’aggettivo «brutale» è cancellato a mano, accompagnava la parola «occupazione». (Commento: l’aggettivo brutale per Yoshua è troppo se riferito all’occupazione israeliana dei territori Palestinesi. Che idea ha di una occupazione brutale nel XXI° Secolo Abraham Yoshua?) «Ho tolto “brutale” perché mi sembra che ci sia anche una proporzione. Durante quattro anni della seconda intifada, uno degli eserciti più sofisticati al mondo ha affrontato i miliziani: 4 mila palestinesi sono stati uccisi e un migliaio di israeliani. Questo non è nazismo. I nazisti avrebbero ucciso 4 mila persone in un minuto».
Davide Frattini

Luisa Morgantini contestata da Italia-Israele a Bologna – 1-3-08

marzo 1, 2008

Per conto del Parlamento Europeo Luisa Morgantini era stata invitata a presenziare alla cerimonia di commemorazione in ricordo dei carabinieri, dei militari e dei civili deportati nei lager nazisti perché rifiutarono di collaborare coi tedeschi. L’associazione Italia- Israele, con una dichiarazione del Presidente, ha fatto sapere di non gradirne la presenza per le sue simpatie palestinesi. Pubblichiamo la nota dell’Ansa sull’accaduto e a seguire un commento dell’europarlamentare.

UE: INVITA MORGANTINI A BOLOGNA, COMUNITA’ EBRAICA PROTESTA (ANSA) – BOLOGNA, 28 FEB – La comunita’ ebraica e l’Associazione Italia-Israele di Bologna contestano la scelta del Parlamento europeo di inviare la vicepresidente Luisa Morgantini (Prc-Sinistra Europea) come propria rappresentante alla cerimonia che domani alle Caserme Rosse ricordera’ i carabinieri, i militari e i civili che non collaborarono con l’occupante nazista e percio’ furono deportati.

La comunita’ fa sapere che non partecipera’ alla cerimonia. ”Purtroppo – scrive Lucio Pardo per Italia-Israele – la Morgantini si e’ sempre particolarmente distinta nell’opera di critica continua dello Stato di Israele. Non si tratta di una critica ad un governo, o dell’approvazione al governo successivo, ma si tratta di una critica aprioristica, incondizionata e senza appello, a tutti i governi dello Stato di Israele, a tutte le sue istituzioni, a tutte le sue azioni, in sostanza alla sua stessa esistenza”. ”Il Parlamento europeo e’ libero di inviare chi vuole, anche Jean Marie Le Pen – conclude Pardo – Gli ebrei di Bologna sono altrettanto liberi di manifestare tutta la loro contrarieta’ verso chi nega agli israeliani il diritto alla vita”. ”Oggi la Comunita’ Ebraica di Bologna, invitata come da anni avviene, a partecipare alla cerimonia alle ‘Caserme Rosse’ – scrive la Comunita’ ebraica – ha deciso di non presenziare a tale cerimonia poiche’ il parlamento Europeo ha designato come proprio rappresentante Luisa Morgantini.

Noi crediamo nella democrazia e nella liberta’ come garanzia degli individui proprio come le persone che qui oggi vengono ricordate e che hanno speso la propria vita per assicurarla alla nostra nazione. La Morgantini si e’ sempre distinta per Sue affermazioni contro lo Stato d’Israele, diffamandolo sotto ogni aspetto. Tali critiche a senso unico delegittimano lo Stato d’Israele, unico stato libero e democratico del Vicino Oriente e costituiscono le premesse per il suo annientamento. E’ pertanto vero che ‘chiunque rinneghi lo Stato d’Israele rinnega la Shoa”.

Uno degli organizzatori della cerimonia, Armando Sarti, ha per altro diffuso il testo della mail inviatagli oggi dall’ambasciatore d’Israele, Gideon Meir, il quale ha declinato l’invito ”per impegni precedenti. Non voglio pero’ mancare – ha scritto il rappresentante diplomatico – di considerarmi comunque idealmente presente nel ricordo imperituro delle vittime innocenti barbaramente trucidate nel periodo piu’ buio della storia contemporanea dai carnefici nazifascisti. Israele le saluta ed onora con commozione e non le dimentichera’ mai, affinche’ simili tragedie non accadano mai piu”’.

Mi sento amareggiata…

di Luisa Morgantini (Vice Presidente del Parlamento Europeo)

Roma, 28 Febbraio 2008 – Sono molto rattristata ed offesa di essere fatta oggetto di fanatismi, bugie e pregiudizi , perchè tale considero la lettera, a firma del Sig. Lucio Pardo che non ho il piacere di conoscere, che ho visto nella nota diffusa dall’Ansa.

Sono nata in Val d’Ossola, da un padre partigiano, che durante la Seconda Guerra mondiale ha combattuto sulle montagne italiane per difendere il suo paese dal nazifascismo. Con tale eredità, sono cresciuta pensando mai più guerre e mai più persecuzioni. Per nessuno.

Non ho mai messo in discussione l’esistenza dello Stato di Israele, ma critico fortemente le scelte politiche dei governi israeliani , quali l’occupazione militare, l’espansione coloniale e le chiusure imposte a Gaza. Facendo questo, mi limito a difendere i principi sanciti dal diritto internazionale e dalle risoluzioni ONU, oltre che il diritto del popolo palestinese a vivere in un proprio Stato, in libertà, così come avviene per i cittadini israeliani.

Continuo a pensare , come sostengono anche le risoluzioni votate al Parlamento Europeo, che la politica del governo israeliano sia una politica che utilizza le punizioni collettive sulla popolazione civile palestinese, contrarie alla legalità internazionale; altrettanto denuncio, come ho sempre fatto, azioni ad opera di gruppi estremisti palestinesi contro la popolazione civile israeliana, ribadendo da anni la necessità di una pace giusta che protegga la popolazione palestinese quanto quella israeliana e che affermi la coesistenza tra due popoli e due stati. Proprio per questo con l’ultima delegazione di europarlamentari che ho guidato a febbraio in Israele e in Palestina, ci siamo recati a Gaza e a Sderot.

Ho sempre dichiarato che l’unica strada che l’Unione Europea ha per difendere i diritti umani è la strada che condanna al tempo stesso ogni antisemitismo, ogni razzismo o xenofobia.

Sarò a Bologna domani e di questo invito ringrazio gli organizzatori, per ricordare e commemorare i fucilati, civili e militari, i rastrellati e le donne e gli uomini imprigionati a Caserme Rosse e deportati nei lager nazisti, per rendere loro l’omaggio della memoria e per dire mai più Shoà e mai più persecuzioni.